Canyon profondi seguiti da rilievi rotondeggianti. Una distesa callosa di sostanza grigia. Anse, tornanti, giri. Questo è un cervello. Massa scolpita, solcata da disegni morbidi e sinuosi. Rinchiusa in una teca ossea dura, (quasi) inespugnabile. Un organo che ha dell’incredibile. Una meraviglia tecnologica. La più complessa macchina naturale che esista.
Nessuno conosce a fondo ciò che accade fra le sue valli. Non in profondità, almeno. Si capisce come impulsi elettrici indirizzati riescano a rendere la complessità del movimento, dei sensi. Ma ogni volta si nasconde una sorpresa.
La memoria… Un continuo rinnovarsi di situazioni vissute e immagazzinate. Realtà che, fisse, si ripetono facendoci da monito. Una funzione così complessa da essere più facile da vivere che da spiegare.
La memoria è determinata da varie parti del cervello. Cooperanti. Reti neuronali che hanno la loro sede in strutture dai nomi alquanto improbabili (si veda l’ippocampo!). Ed ogni rete si rimodella più volte, con la creazione di nuove connessioni e quindi di nuovi ricordi. Di nuova esperienza. Si tratta di una plasticità complessa, che crea, rinnova, mantiene, distrugge.
È questa la funzione più propria del cervello umano. Almeno, io credo così. Immaginiamo di non possederla. Non riusciremmo ad avere ciò che ci distingue: una cultura, un progresso, una storia. Non sarebbe possibile vivere al di fuori dell’arco riflesso. Di quel circuito che sta alla base dell’istinto e che guida le funzioni più semplici. La sopravvivenza.
La complessità sarebbe un tabù. Non ci sarebbe conoscenza. Innovazione. Perché queste cose si basano sulla caduta di altre. Inutili. Perché il progresso si costruisce sul sacrificio dell’obsoleto. Continua a leggere →